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COUNSELOR FILOSOFICO RELAZIONALE E MEDIATORE LEGALE

NON E' UN PAESE PER SOLE DONNE

E vissero per sempre felici e contenti, così finiscono le fiabe, ma non c’è spazio per il lieto fine  al quale ci hanno abituato da piccoli, né per quelle canzoni alla Lucio Battisti che narravano in musica le vicende di amori adulti. Non vi è fantasia in grado di decantare un raffronto, quanto mai necessario, con il principio di realtà. La cronaca di questo Luglio ha consegnato al Paese del Sole una costellazione, senza più cielo, fatta di omicidi e violenze la cui costante sono state le vittime: Simona, Maria, Sonia, Debora, Chiara, Annamaria Eleonora..tutte donne!

Reati sanguinari non solo per modalità ed efferatezza: uno di seguito all’altro, 

in una successione che non ha lasciato alle coscienze degli italiani, già in clima di vacanza, il tempo di piangere, realizzando quanto stava succedendo. Omicidi ad opera di stalker seriali, di mariti, fidanzati e “spasimanti” che non sono riusciti a superare il rifiuto, ad elaborare il lutto di una separazione, o semplicemente ad affrontare la delusione di un amore non corrisposto. 

L’empatia di un popolo dovrebbe mettere in gioco spazio e tempo, in quella “giusta distanza” che impedisce all’emozione di travolgere e all’indifferenza di raggelare, ma tale cogente sensazione di dolore, morte e disperazione disintegrerebbe la personalità di qualunque Stato, anche del più predisposto ad atteggiamenti comprensivi.
Verrebbe da dire: “ eppure, le leggi ci sono!”. Le norme sul reato di stalking, entrate recentemente in vigore, sembravano aver colmato un vuoto legislativo di anni, ma quel che appare non sempre riempie: il senso di una giustizia satura d’ubriachezza rimane forte. La questione probabilmente non si risolverà con un colpo di spada legislativo, né con compromessi esecutivi o risoluzioni giudiziarie preconfezionate, certi nodi relazionali non hanno pettine ed Alessandro Magno in persona risulterebbe disarmato al loro cospetto.
Nodi gordiani che società e cultura hanno fatto, rifatto e mal disfatto potrebbero sciogliersi senza la necessità di un taglio netto, se solo cambiassimo modo d’intendere gli episodi di violenza sulle donne. Le risposte su come evitarli, prevenirli o combatterli potrebbero essere divergenti, ma vanno, se non trovate, almeno cercate, scongiurando così il rischio di ragionamenti sterili in merito a misure cautelari non attuate o nuclei familiari malati. 
Abbiamo l’obbligo etico del non rimpianto, ancor prima dell’urgenza morale del pianto. La nostra bandiera sia, dunque,  l’interrogarci sulle cause evitando di prendere  in conto fatti ormai incontrollabili, affinché l’ottenere risposte non diventi semplicemente una Chimera vedova di Bellerofonte, ma quanto piuttosto un motore di ricerca efficace e consapevole.
Quando percepiremo le risposte come autentiche, congruenti ed empatiche con riferimento ai dati reali, queste diventeranno serenamente  i piloni sui quali edificare un ponte, non più levatoio tra noi e quel grido senza bocca nel quale quest’estate sono violentemente precipitate le famiglie di vittime e carnefici. Un ponte in grado di farci attraversare il fossato con il quale si difende una castellana assente, non solo nella dimora di sé, ma anche nella consapevolezza dell’altro da sé. Una donna senza residenza, ma capace di fare le valigie, perché stanca di vivere una Storia con la s minuscola, e sempre più alla ricerca  della propria Storia non solo individuale.
La non Storia  potrebbe risultare per questa donna una campana di vetro insostenibile,  una barriera in grado di  far diventare il genere femminile un fantasma fatto della stessa sostanza di cui erano fatti i merletti del Castello. L’eccesso di protezione, nonostante i buoni propositi, vincola ogni capacità d’autodeterminazione e sviluppo interiore. A mio parere, abbiamo come italiani, il dovere di togliere la campana di vetro, promuovendo al contempo il benessere della donna e della comunità a cui essa appartiene. 
La donna in particolare emancipandosi dalla tela che il maschile ha intessuto nel corso della Storia sulla sua figura e rifuggendo da un femminismo che assume i connotati di un maschilismo sotteso, potrà dare spazio ad un nuovo protagonismo femminile. Secondo la filosofa spagnola Maria Zambrano, infatti, c’è il pericolo che il femminismo appiattisca e sia soltanto un conflitto di opposte “ volontà di potenza ”. 
A tal proposito,  prosaicamente scrive il professore Silvano Zucal nel libro “ il dono della parola”,  le protagoniste femminili come la Vergine Maria, Antigone, Eloisa, Saffo sono, invece, per la filosofa figure autenticamente sapienziali, perché in grado di testimoniare il “ sapere dell’anima” che riconosce il proprio fondamento nel sentire e ha in odio l’astrazione e il divorzio dalla vita tipici di una ragione dominante e violenta. Non può esserci scissione tra pensiero e vita, non si può che vivere pensando e non si può pensare al di fuori del vivere. 
La donna di Zambrano è una creatura  dalla “ razionalità qualificata diversamente ”, portatrice privilegiata di quel sapere notturno, radicato nelle "viscere", le medesime viscere alle quali ciascuna donna ha la possibilità di dar voce senza dismettere dall'essere pensiero. La donna è totalmente anima e non quell'incrocio di spirito e istinto che fa l'identità peculiare dell'uomo, e lo sarà ancor di più, se saprà contrapporre come proprio bene segreto " la ragione senza nome della Vita ", conquistando così il territorio dell’Intelletto senza mai perdere l'anima.
La donna immergendosi nella vita che le è propria, confondendosi con essa, costituirà il proprio profilo partorito, diventando così capace di disvelare la grandezza della passività amante di cui è portatrice universale. La posta in gioco è l’esistere come donna. Il limite del pensiero occidentale rispetto alla concezione della figura femminile risiede in questa concreta non esistenza della stessa, in questo non riconoscimento di un sapere sapienziale proprio di essa; un pensiero logocentrico che ha dato voce ed urla a parole che, invece, hanno la caratteristica d’essere mute e celate nel fondo dell’anima. Le parole private di questa passività e mutezza hanno ceduto il passo ad idee agite ed agitate con conseguenze negative sia per l’uomo che per la donna. E’ proprio della vita umana, invece, far crescere la sua parola nel suo grembo: la Vita crea la parola, o più semplicemente, la Vita parla. 
Dar vita a quelle parole proprie dell’anima significherà, allora, dar voce alle donne morte, siano esse mancate per “ assenza di cura” da parte di qualcuno, oppure siano esse state uccise per un non amore generale. Persone, creature, donne che hanno vissuto di parole senza ricevere parole aurorali, d’ascolto  senza essere realmente sentite, d’emozioni senza comprensione autentica, tutto ciò restituirà a quelle donne e ai loro affetti la considerazione che è mancata in vita. Restituire la voce a chi non ha avuto il tempo di salutare la vita ed i propri cari è possibile con gesti e parole che solchino l’orizzonte attraversando un silenzio sentito. 
A queste donne dobbiamo rendere conto, ascoltando la loro storia attraverso i racconti di chi ha voluto loro bene, magari recandoci presso i loro sepolcri non solo con un mazzo di fiori, ma con la volontà d’incontrarle realmente, impegnandoci così in un continuo processo d’acquisizione del loro vissuto al di là del bene e del male della loro morte. Un processo che diverrà processo di conoscenza, trasformazione e purificazione reciproca: unico scambio in grado d’arricchire  e restituire trasparenza a loro e a noi che ne testimoniamo la prematura dipartita.    Se la bellezza di queste donne risiedeva nella loro abbagliante fragilità, starà a noi    che siamo diventati loro testimoni riportarla in vita in ritrovate forme. Una bellezza accecante seppur fragile, il cui bagliore oscurava ciò che era al di là del limite da cui rifulgeva. Assumere la fragilità di queste bellissime donne, anche dopo la  morte, significherà non lasciarle più sole ed al contempo il portare loro in dono un raggio di sole ( “ Rapian gli amici una favilla al Sole a illuminare la sotterranea notte ” scriveva il poeta Ugo Foscolo ) impedirà che sia ciò che è stato fuori di loro a determinare ciò che era dentro di loro… una grande  bellezza!

Se la bellezza di queste donne risiedeva nella loro abbagliante fragilità, starà a noi    che siamo diventati loro testimoni riportarla in vita in ritrovate forme. Una bellezza accecante seppur fragile, il cui bagliore oscurava ciò che era al di là del limite da cui rifulgeva. Assumere la fragilità di queste bellissime donne, anche dopo la  morte, significherà non lasciarle più sole ed al contempo il portare loro in dono un raggio di sole ( “ Rapian gli amici una favilla al Sole a illuminare la sotterranea notte ” scriveva il poeta Ugo Foscolo ) impedirà che sia ciò che è stato fuori di loro a determinare ciò che era dentro di loro… una grande  bellezza!