Il codice di procedura penale dedica alla perizia ed alla consulenza tecnica un limitato numero di norme, per lo più contenute negli artt. 220 e seguenti (Libro III, dedicato alle Prove, Titolo II dedicato ai Mezzi di prova ed infine Capo VI, intitolato semplicemente “Perizia”).
S’impone, innanzitutto, una distinzione fra i termini ‘perizia’ e ‘consulenza’; entrambi si riferiscono al medesimo mezzo di prova, consistente in indagini, accertamenti e valutazioni di natura tecnica, che, discrezionalmente, il Giudice, il Pubblico Ministero e le altre parti del processo penale possono disporre, allorquando ciò appaia loro necessario, in ambiti nei quali – come si legge nell’art. 220 c.p.p. – siano richieste specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Tuttavia, mentre il perito è nominato dal Giudice (e, dunque, tale nomina si collocherà, sovente, nella fase del giudizio, che è successiva a quella delle indagini preliminari), il consulente è nominato dalle parti del processo penale, cioè dal Pubblico Ministero, dall’imputato o dalla persona offesa dal reato (parte civile, successivamente all’esercizio dell’azione penale). Non di rado, tuttavia, si verifica che, pur essendo ancora in corso le indagini preliminari, si renda necessario ricorrere alla perizia; ciò avviene nelle forme dell’incidente probatorio (disciplinato dagli artt. 392 e seguenti c.p.p.), con nomina, per l’appunto, di un perito, da parte del Giudice per le indagini preliminari. Si tratta di una sorta di eccezionale anticipazione dell’istruttoria processuale, non essendosi ancora concluse le indagini dirette dal Pubblico Ministero (è, comunque, una ipotesi piuttosto limitata, potendosi verificare soltanto se l’accertamento di natura tecnica riguardi persone, cose o luoghi soggetti a modificazione non evitabile – si pensi, ad esempio, ad una autopsia -, ovvero se vi sia motivo di ritenere che tale accertamento tecnico, se disposto nel dibattimento, possa determinarne una sospensione superiore a sessanta giorni – è il caso, ad esempio, della ricostruzione della dinamica e dell’accertamento delle cause di eventi particolarmente complessi, quali disastri ferroviari, sinistri stradali nei quali siano rimasti coinvolti numerosi autoveicoli, ecc. …). Fra il 1996 ed il 1998, in occasione della riforma dei delitti contro la personalità individuale (violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, ecc. …), è stato introdotto nell’art. 392 c.p.p. il comma 1 bis, che consente di procedere, con incidente probatorio, all’assunzione della testimonianza di una persona di età inferiore ai sedici anni (si pensi, principalmente, al caso in cui sia necessario procedere all’esame della giovane vittima di un abuso sessuale). Quanto al numero dei periti che il Giudice può nominare, l’art. 221 c.p.p. non prevede un limite (è capitato, ad esempio, non di rado, che siano stati nominati dei collegi peritali, composti da ben tre esperti). Un limite numerico, invece, è imposto alle parti del processo penale dagli artt. 225 e 233 c.p.p.. La prima norma presuppone che vi sia stata la nomina di uno o più periti da parte del Giudice; in tal caso, il Pubblico Ministero e le parti private potranno nominare propri consulenti, in numero non superiore a quello dei periti. L’art. 233 c.p.p., invece, per l’ipotesi in cui il Giudice non abbia disposto alcuna perizia, impone al Pubblico Ministero ed alle altre parti di non nominare più di due consulenti tecnici; tuttavia, entrambe le norme richiamate sembrano riferirsi, esclusivamente, alla fase del giudizio e non anche a quella delle indagini preliminari (l’estensore della presente, ad esempio, nel corso delle indagini preliminari riguardanti la ricostruzione della dinamica di un complesso incidente sul lavoro – parziale esplosione di un opificio industriale, a seguito della quale aveva perso la vita un lavoratore dipendente -, ha nominato quattro consulenti tecnici, tutti aventi una differente, specifica competenza scientifica). L’art. 222 c.p.p., poi, contempla una serie di cause di incapacità od incompatibilità con l’ufficio di perito (minorenni, interdetti, inabilitati, interdetti anche solo temporaneamente dai pubblici uffici, sottoposti a misure di sicurezza, soggetti che non possono essere assunti come testimoni e, ovviamente, coloro che siano stati nominati consulenti tecnici nello stesso procedimento o in un procedimento connesso). L’art. 227 c.p.p. prevede che il perito, appena nominato, proceda immediatamente ai necessari accertamenti e risponda (altrettanto prontamente, quindi) ai quesiti postigli, fornendo un parere che verrà raccolto nello stesso verbale con il quale gli è stato conferito l’incarico. Tuttavia, nella prassi e, dunque, nella maggioranza dei casi, ciò non accade, poiché, anche per accertamenti tecnici non particolarmente complessi, i Giudici ed i Pubblici Ministeri concedono al perito od al consulente tecnico un termine, non superiore a novanta giorni (limite imposto dal codice e, tuttavia, prorogabile), per rispondere, con una relazione, ai quesiti posti. Una distinzione di fondamentale importanza, nell’ambito del processo penale, è quella che riguarda la natura degli accertamenti tecnici demandati a periti e consulenti. Devono distinguersi, infatti, preliminarmente, gli accertamenti tecnici non ripetibili (o irripetibili) da quelli ripetibili; i primi sono definiti dall’art. 360 c.p.p. come quegli accertamenti che riguardano “persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione” (si pensi, ad esempio, ad accertamenti medico-legali su di una salma o su sostanze alimentari deperibili). Il contenuto di tale norma deve essere integrato con quello dell’art. 117 delle norme di attuazione del c.p.p., che tratta degli accertamenti tecnici che determinano essi stessi, per le modalità (sovente distruttive) con le quali devono essere compiuti (es. l’autopsia), una modificazione delle cose, dei luoghi o delle persone, sì da rendere l’atto non ripetibile. La distinzione fra accertamenti non ripetibili e ripetibili è particolarmente importante, per quanto concerne l’attività del Pubblico Ministero, nel corso delle indagini preliminari. Affinché, infatti, il Pubblico Ministero possa conferire questo tipo di incarichi al proprio consulente tecnico, è necessario darne anticipatamente avviso all’indagato, alla persona offesa dal reato ed ai rispettivi difensori, al fine di consentir loro di partecipare al conferimento dell’incarico (in quella sede, quindi, tutti i precitati soggetti potranno non soltanto assistere a tale conferimento, ma potranno anche nominare propri consulenti tecnici, formulando osservazioni e riserve; essi, infine, avranno il diritto di prendere parte agli accertamenti cui procederà il consulente nominato dal Pubblico Ministero). I periti ed i consulenti tecnici, nominati, rispettivamente, da Giudice e Pubblico Ministero, per espressa previsione di legge, dovranno essere scelti fra coloro che risultano già iscritti negli appositi albi (art. 221 c.p.p., per quanto concerne i periti ed art. 73 delle norme di att. c.p.p., per i consulenti tecnici). Il rapporto che si instaura fra il consulente tecnico ed il Pubblico Ministero, all’apparenza semplice, si rivela, in realtà, il più delle volte, particolarmente complesso. Deve considerarsi, innanzitutto, che il P.M. procede alla nomina del consulente, nel corso delle indagini preliminari, cioè in una fase nella quale poco o nulla è dato sapere, inizialmente, in ordine ai fatti oggetto di investigazione (è possibile, ad esempio, che manchino dei potenziali testimoni, o che questi, pur essendoci, non sia stato – ancora - possibile identificarli o reperirli). Non di rado, quindi, il P.M. dovrà, per così dire, resistere alla forte tentazione di trasformare il proprio consulente tecnico in un – sia pur qualificatissimo – ufficiale di polizia giudiziaria, al quale, in sostanza, delegare lo svolgimento delle prime (e non solo le prime) indagini. I consulenti non sono – e, dunque, non devono mai diventare – organi di polizia giudiziaria. Ciò anche perché essi sono chiamati a compiere accertamenti, all’esito dei quali dovranno esprimere delle valutazioni (al contrario degli appartenenti alla polizia giudiziaria, i quali possono – ed in alcuni casi, anzi, devono – compiere i necessari accertamenti su tracce e cose che potrebbero subire alterazioni, ma non devono mai esprimere valutazioni tecnico-scientifiche: si pensi alle analisi ricognitive, e non valutative, che la polizia giudiziaria può effettuare in ordine alla natura della sostanza che si ritenga stupefacente). E’ tale profilo valutativo (soprattutto) che, in senso squisitamente tecnico-giuridico, avuto riguardo alla disciplina del processo penale (specialmente nella prospettiva dell’esame che avrà luogo nel dibattimento), distingue il consulente sia dall’appartenente alla polizia giudiziaria che dai testimoni. I termini stessi con i quali il P.M. (lo stesso, per il vero, vale per il Giudice ed i suoi periti) formula i quesiti che verranno affidati ai consulenti tecnici dovranno essere precisi e, quel che più conta, dovranno porre quegli esperti in condizione di rispondere ad essi, attraverso valutazioni esclusivamente tecniche. E’ possibile (e lecito), invece, che al consulente venga richiesto di richiamare ed interpretare norme tecniche o, al limite, norme giuridiche dal prevalente contenuto tecnico (si pensi, ad esempio, alla definizione di esposizione quotidiana personale di un lavoratore al rumore, contenuta nell’art. 39 del D.L.vo n. 277/91, espressa con una formula matematica piuttosto complessa). Il consulente, dal canto suo, dovrà resistere (anch’egli) alla tentazione di trasformarsi in Pubblico Ministero (o Giudice) od agente/ufficiale di polizia giudiziaria. Non di rado, infatti, coloro che vengono incaricati di compiere accertamenti tecnici, non limitandosi ad esplicare un’attività di consulenza, culminante, quindi, in una valutazione critica, tendono a suggerire soluzioni propriamente giuridiche, indicando, ad esempio, più o meno perentoriamente, le norme che dovrebbero trovare applicazione nel caso da essi trattato. (Tratto dall’ articolo del Dr. Nicola Mezzina -Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania)